ASCS alle frontiere d’Europa. Aggiornamenti dal confine Serbia-Ungheria

Per il progetto Borders di ASCS, Davide Pignata ha trascorso cinque giorni in Serbia, al confine con l’Ungheria, accompagnando l’organizzazione No Name Kitchen nelle operazioni di assistenza alle persone migranti negli accampamenti informali presenti nella fascia di confine. Ecco la sua testimonianza. Foto di Francesco Cibati.

Indesiderate. Questa è la condizione delle persone migranti bloccate al confine tra Serbia e Ungheria. Respinte, da un lato, dal famoso muro fisico e tecnologico, quello sì, desiderato e millantato dal presidente ungherese Orbàn. Criminalizzate, dall’altro, dalle autorità serbe, che periodicamente sfrattano i fatiscenti accampamenti informali abitati dalle persone transitanti che tentano decine di volte di sorpassare il confine.

Muro con filo spinato tra Serbia e Ungheria. Foto di Francesco Cibati.

Lo snodo migratorio della rotta balcanica che passa dalla Serbia e va in Ungheria negli ultimi mesi è diventato sempre più battuto. Secondo i dati di Frontex, tra gennaio e luglio 2022, il numero delle persone in movimento in questa regione è triplicato rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso[1]. La maggior parte arriva da Siria, Afghanistan e Pakistan. Parallelamente all’aumento delle persone in transito, è cresciuto anche il numero di respingimenti e di violenze. Secondo i dati ufficiali del governo ungherese, che fin dal 2015 rivendica orgogliosamente l’avvenimento della pratica illegale dei pushbacks, sono 234.000 i casi di respingimento verso la Serbia dall’inizio del 2022. Molto di più dell’intero 2021 (122.000) e del 2020 (6.000)[2].

L’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate (droni, sensori, robot intelligenti, sistemi di videosorveglianza e intelligenza artificiale) per il controllo del confine rende i respingimenti sempre più efficienti. Le polizie di frontiera ungherese e rumena aggiungono, all’efficienza della tecnologia, la violenza dell’autorità, derubando le persone in movimento di denaro, cellulare e oggetti personali. Una recente pratica di controllo che mi è stata raccontata al confine è l’hackeraggio dei cellulari: capita che, durante i respingimenti, gli smartphone dei transitanti vengano requisiti e manomessi dalla polizia di frontiera. Una volta riconsegnati alle persone in movimento, questi ultimi risultano immediatamente rintracciabili perché i dispositivi hackerati inviano segnali di localizzazione ripetuti alla polizia di frontiera.

Videocamera di sorveglianza al confine tra Serbia e Ungheria. Foto di Francesco Cibati.

La spietata efficienza dei respingimenti ha comportato, dall’altro lato del confine, il concentramento di migliaia di persone in attesa. I tre campi ufficiali, nelle cittadine di Subotica, Sombor e Kikinda, sono sovraffollati; per questo le persone in movimento trovano momentaneo rifugio in case abbandonate o in accampamenti informali in prossimità del confine.

Accampamento informale a Majdan, Serbia, vicino al confine con Ungheria e Romania. Foto di Francesco Cibati.

Le condizioni degli accampamenti informali sono estremamente precarie. Nel migliore dei casi si tratta di mura spoglie senza finestre, nel peggiore di raggruppamenti di tende tra i boschi nell’area di confine. Le persone che incontramo in questi luoghi si mostrano preoccupate del rigido inverno in arrivo. I volontari di No Name Kitchen, in collaborazione con altre associazioni locali e internazionali, riforniscono gli accampamenti di cibo, acqua potabile e docce portatili. Periodicamente questi luoghi vengono sgomberati dalla polizia serba. L’ultimo caso è avvenuto pochi giorni fa, quando un pugno di tende a poche centinaia di metri dal confine ungherese è stato attaccato dalle forze di polizia, che, pistole in mano, hanno sfrattato le persone che lì stavano dormendo costringendole ad entrare in alcuni bus. Le forze dell’ordine hanno poi distrutto i pochi beni che le persone possedevano, squarciando le tende con coltelli, rendendole così inutilizzabili[3].

Accampamento informale di Tavankut, visitato qualche giorno prima dello sfratto da parte delle autorità serbe. Foto di Francesco Cibati.

Vengono alla mente le parole di Alessandro Leogrande che, nel suo libro La frontiera, ha scritto che “la frontiera è il termometro del mondo”[4], indicando così che lo stato di salute (o di malattia) della società in cui viviamo si misura a partire dai confini. Con l’arrivo del freddo invernale, quale temperatura segnerà il termometro del mondo? Le premesse autunnali non sono certo le migliori.

[1] Cf. Frontex, EU external borders in June: Western Balkan route most active.

[2] Cf. Schengen Visa Info, Hungary Has Spent HUF 1.6 Billion on Border Protection Since 2015, November 4, 2022.

[3] Cf. No Name Kitchen, Evictions, externalization of borders and criminalization of of migration. Everyday life in Serbia.

[4] A. Leogrande, La frontiera, Feltrinelli, Milano 2016, p. 16.

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