La Selva siempre te reclama algo
ph. Liblin Palacios
Ciao sono Anna ho 33 anni, vengo da Brescia e in questo momento della mia vita, insieme al mio compagno Luca, sono a Ciudad de Guatemala.
Abbiamo deciso di prenderci una pausa dal lavoro e partire per un’esperienza di volontariato di due mesi in Guatemala presso la Casa del Migrante della Congregazione Scalabriniana.
La scelta di dedicare il nostro tempo e le nostre competenze agli altri è qualcosa che già caratterizza la nostra vita. Io sono un’assistente sociale e Luca è un giardiniere all’interno di una cooperativa sociale che si occupa anche di reinserimenti lavorativi. Avevamo, però, il desiderio di dedicarci, insieme, agli altri in un contesto che fosse per noi meno consueto e confortevole, per questo ci siamo rivolti ad ASCS, che già conoscevamo per esperienze pregresse, ed è nata la possibilità di raggiungere padre Francisco qui.
Qui nella Casa quotidianamente ci occupiamo di accogliere persone che stanno viaggiando da paesi del sud e centro America per raggiungere gli Stati Uniti. Viviamo nello stesso stabile in cui vengono accolte queste persone, ci occupiamo di aiutare nella registrazione al loro arrivo, della distribuzione dei pasti, della distribuzione dei vestiti qualora ne avessero bisogno e della pulizia delle stanze che poi di notte accolgono adulti e famiglie.
Affianchiamo nel loro lavoro un’equipe di operatori che animano quotidianamente la casa; qui infatti sono presenti due cuoche, due consulenti legali, tre addetti alla prima accoglienza, due infermieri, tre addetti alle camere, un’assistente sociale ed una pedagogista che si occupa di organizzare attività per i bambini durante la sera. Questo personale lavora su turni e si occupa di garantire alle persone accolte ciò di cui hanno bisogno. Il volontario è impegnato quotidianamente in turni durante i quali è chiamato a coadiuvare gli operatori e a impegnarsi nelle attività previste in ciascuna delle aree di intervento che ho descritto sopra.
In questo momento la Casa può garantire una sola notte di permanenza ad ogni persona a causa del flusso molto intenso a cui risponde quotidianamente, la scelta è quindi quella di garantire una notte al più alto numero di persone possibile. Per darvi un´idea del volume del fenomeno nel 2023 la Casa del Migrante di Ciudad de Guatemala ha ospitato circa 32.000 persone.
ph. Liblin Palacios
La casa del Migrante si occupa, inoltre, insieme ad Acnur Unhcr, Oim e altre associazioni locali quali SOSEP, AMIGUA e Te CONECTO, di accogliere le persone che vengono rimpatriate dagli Stati Uniti. Esistono infatti leggi che danno agli Stati Uniti, qualora si trovino di fronte a persone sprovviste di regolare documento di permanenza presso il territorio nazionale, la possibilità di rimpatriarle seduta stante. Nei momenti di incontro che ho avuto con le persone rimpatriate è emerso come questa procedura sia caratterizzata purtroppo, la maggior parte delle volte, da pratiche disumanizzanti.
Ci raccontano, infatti, che una volta individuati dalle forze dell’ordine (che possono essere gli agenti della polizia di frontiera, agenti di polizia semplici o militari) vengono portati in una stanza, gli viene fatta una breve intervista nella quale vengono chieste loro le ragioni della loro migrazione ed alcuni dati personali; sembra che durante questo momento di dialogo non vengano spiegate ai migranti le leggi statunitensi per cui non hanno diritto a stare sul territorio nazionale e non vengano nemmeno descritte loro le procedure di rimpatrio.
Le persone che intervisto rimpatriate forzosamente in Guatemala mi raccontano, infatti, che senza nessuna spiegazione sono stati portati in una stanza nella quale sono rimasti per molti giorni in attesa che venisse valutata la loro istanza, un luogo in cui hanno perso la cognizione del tempo ed in cui non venivano distribuiti pasti regolari; senza preavviso si sono visti porre catene ai polsi, in vita ed alle caviglie, sono dovuti salire su un bus che li ha portati ad un aereo. Sul bus è stato consegnato loro un foglio che diceva che stavano per essere riportati in Guatemala. Saliti sull´aereo, con le catene, hanno dovuto trascorrere la maggior parte del viaggio cosi legati, fino a che l’aereo non ha sorvolato il centro America e a quel punto hanno avuto la possibilità di essere slegati.
Anche all’accoglienza dei rimpatriati i volontari partecipano attivamente attraverso un sistema di turni, gli operatori e i volontari offrono a queste persone la possibilità di telefonare a parenti o conoscenti in modo da comunicare loro il rimpatrio e chiedere appoggio nel rientrare a casa.
Per coloro che non trovano una soluzione rapida la Casa del Migrante offre la possibilità di fermarsi per le notti necessarie a raggiungere i parenti o a reperire il denaro necessario per tornare a casa o affittare un luogo in cui dormire. Ci sono persone che rientrano in Guatemala dopo molti anni in cui hanno vissuto la loro vita con la loro famiglia negli Stati Uniti e qui non hanno più nessuno, necessitano quindi di tempo per potersi riorganizzare e provare a ricostruirsi un esistenza in luogo che per loro ormai non rappresenta più “casa”.
In questo momento anche il Mexico sta rimpatriando quotidianamente persone migranti che si trovano sul territorio nazionale senza adeguata documentazione, le forze dell’ordine quotidianamente organizzano posti di blocco e controllano decine di bus e in maniera arbitraria rimpatriano alcuni e lasciano passare altri dividendo anche i nuclei famigliari, questo succede sia al confine con gli Stati Uniti che negli stati precedenti lontani dalla frontiera.
ph. Liblin Palacios
Qui alla Casa del Migrante e possibile incontrare ogni giorno famiglie con bambini molto piccoli che decidono di partire per gli Stati Uniti, ad esempio dal Venezuela, attraversando perciò circa sette paesi, affrontando pericoli e traumi indicibili per il sogno di una vita migliore, che purtroppo spesso si infrange non appena raggiunto il Messico o attraversato il confine per gli Statui Uniti.
Sempre più sono i bambini che sono costretti a viaggi di mesi, ad attraversare la selva del Darién, regione dell’America centrale posta al confine tra Panama e la Colombia che rappresenta il confine naturale tra America centrale e America del Sud ed è caratterizzata da foreste, rilievi montuosi e bacini idrici, in questo luogo sono esposti alla fame, alle intemperie, alle bande armate, alla possibilità di violenze, estorsioni, sequestri, inganni e alla vista di centinaia di cadaveri di tutte quelle persone che dalla selva non sono mai uscite.
Le persone qui sono solite dire che “la Selva sempre te reclama algo” (La selva chiedere sempre un prezzo per il passaggio). Superato queto ostacolo li aspetta ancora un lungo viaggio ed infine il Messico, questo immenso paese che da solo copre quasi la stessa distanza che c’è fra il Venezuela ed il Guatemala, caratterizzato da altrettanti pericoli.
Parlando poi del Guatemala, che ad oggi rappresenta per i migranti un ulteriore ostacolo posto lungo il loro tragitto, non è facile sentire ogni giorno raccontare di violenze sessuali perpetuate dalla polizia nei confronti soprattutto di donne e bambine quando queste giungono la frontiera per entrare nel paese; non e facile sentire di estorsioni perpetuate dalla polizia, di pratiche ormai abituali delle forze dell’ordine di abuso e minaccia, non è facile stare di fronte a donne che hanno passato di tutto per il compimento del proprio sogno di una vita migliore per se e per la propria famiglia e che poi appena attraversato il confine fra Messico e Stati Uniti vengono arrestate e rimpatriate e alle quali le FF.OO non ritengono di dover nemmeno spiegare cosa sta succedendo e perché saliranno su un aereo per rientrare nel loro pese di origine.
Non e facile sospendere il giudizio quando si hanno davanti famiglie composte anche da neonati e anziani, ci si chiede per alcuni secondi come si possa prendere la decisione di intraprendere un viaggio in simili condizioni; è una domanda che però dura pochi istanti poiché gli occhi di queste persone ti fanno capire immediatamente che nessuno intraprenderebbe questo tipo di viaggio se non avesse davvero la necessita di lasciarsi alle spalle qualcosa che orami non è più sopportabile.
Dismettere i panni di coloro che sanno come e giusto e come e sbagliato vivere è un esercizio quotidiano molto utile che potremmo fare anche nelle nostre case, comode e confortevoli, ricolme di qualsiasi cosa, nelle nostre città piene di diritti e libertà, noi che con un passaporto e pochi soldi possiamo qualsiasi cosa che la nostra mente ci dica.
Qui è sicuramente più facile farlo, non ci sono sconti, la realtà si impone tragicamente di fronte a noi ogni giorno e schivarla e impossibile; qui è molto più facile ricordarsi che non abbaiamo mai il diritto di giudicare nessuno perché la vita potrebbe porci di fronte a scelte che mai nemmeno abbiamo immaginato e per il nostro bene potremmo essere disposti a fare ciò che non abbiamo mai pensato possibile.
Viene la voglia ogni tanto di smettere di vedere, di spegnere questo canale che se ci si pensa troppo è davvero terribile, ingiusto, sbagliato, viene la voglia di voltarsi un attimo, non guardare e penso sia sano, viene però accompagnata dalla consapevolezza che questo canale quando noi scegliamo un altro film non si spegne, non si spegne mai, in nessuna parte del mondo e anzi trova il modo di attivare nuovi canali sempre più ingiusti e sempre più disumani.
ph. Liblin Palacios
Bisogna guardare, bisogna sentire, bisogna mettersi nei panni degli altri, non è necessario allontanarsi tanto, ma a volte può essere più facile, il vicino può essere davvero faticoso da guardare, va bene anche così, senza giudizio, ma con il coraggio di farlo in qualche modo, guardare per vedere davvero finalmente, per vedere quello che succede, prendere coscienza di cosa è davvero la vita del mondo e delle persone che lo abitano, e imparare a vivere con questa consapevolezza, il mondo ci impone di fare la nostra parte e non c’è bisogno di andare lontano per contribuire al miglioramento della vita.
Una delle cose che più mi ha colpito all’inizio di questa esperienza che fra poco più di quindici giorni si concluderà è stata la gentilezza, l’educazione e la gratitudine che mostrano le persone in movimento che accogliamo ogni giorno. Ringraziano, ci benedicono, cercano uno straccio per pulire il tavolo, riordinano, lasciano le stanze pulite, ascoltano le indicazioni, aspettano pazientemente il momento serale dopo la cena in cui uno degli operatori li intrattiene con informazioni di volta in volta con focus diversi inerenti le questioni legali, di genere, di protezione, logistiche necessarie per il viaggio. Incontro ogni giorno bambini che ascoltano rispettosamente le indicazioni degli adulti, che senza pretese accolgono con gioia le attività di gioco che gli vengono proposte, senza richieste altre, ascoltano. Si mi ha impressionato tantissimo la capacita reale di ascolto di queste persone. Ascoltano davvero, sentono e capiscono, si pongono con attenzioni di fronte a noi per ascoltare.
I nostri sono gesti piccoli, essenziali, possono al massimo rendere meno fredda una notte, rendere meno vuota una pancia, rendere meno dolorosa una ferita, loro sono i nostri eroi, combattono ogni giorno per un sogno nella loro testa molto definito e immenso che probabilmente verrà ridotto in mille pezzi da persone che non vogliono vedere, che hanno scelto di non guardare e di non ascoltare. Probabilmente dimenticheranno i nostri volti non appena usciti di qua per lasciare spazio a informazioni davvero utili come il nome della fermata del bus che può portarli nella prossima città o la posizione della banca in cui potranno ritirare i soldi necessari per proseguire nel loro intento, in noi però i loro occhi non spariranno mai e tutti gli insegnamenti che ci hanno dato senza nemmeno rendersene conto.
Questi viaggi sono delle vere e proprie epifanie, non è detto che si incontrino cose inaspettate, ma senza dubbio non si può più fare come se non esistessero.
Si incontrano forse per la prima volta parti di noi nascoste, dimenticate o mai riconosciute, ho guardato negli occhi di donne che hanno la mia stessa età, con tre figli, mai andate a scuola, che da sole sono partite tre mesi fa per raggiungere il marito negli Stati Uniti e ogni giorno camminano e immaginano una maniera per proseguire occupandosi di figli che magari urlano troppo o che hanno la febbre; queste donne a un certo punto mi guardano e mi chiedono da dove vengo e come sono venuta qui e io non posso che rispondere che sono arrivata su un aereo e so che ho potuto farlo grazie al mio incredibile passaporto che senza troppa fatica ho fatto appena ho avuto l’età per poterlo avere e che con la stessa semplicità mi ha dato accesso a questo paese; mi chiedono com’è l’Italia non posso che dire che anche se hai i suoi problemi paragonato a quello che mi stanno raccontando è una paese accogliente e con tante possibilità.
Come ogni viaggio che ho fatto anche questo sta trasformando ed arricchendo la mia vita ed era quello che mi aspettavo e che cercavo, questa volta però lo sta facendo a noi non solo a me e questo è il pezzo nuovo e meraviglioso che mi porto in più da questa esperienza, il grande dono, la grande fortuna di poter condividere ognuno di questi piccoli momenti e di queste nuove consapevolezze con la persona che amo e con cui ho deciso di camminare.