Trasformare la rabbia

ph Liblin Palacios

Ciao a tutti e tutte. Sono Federica e ho 26 anni. Nella vita faccio fatica a concentrarmi solo su una cosa, per cui ho sempre avuto varie passioni ad accompagnarmi. Per non annoiarvi, mi limito a citarne due: le relazioni e il teatro.

Per quanto riguarda la prima, è sbocciata durante una precoce esperienza di volontariato in un centro di accoglienza milanese, dove ho imparato a coltivare l’apertura all’altro (chiunque esso sia). Ciò mi ha portato a tessere negli anni una meravigliosa rete di conoscenze e amicizie che abbraccia spazi fisici e culturali molto diversi.

Per quanto riguarda la seconda, la ritengo una naturale conseguenza della prima: è semplicemente un mezzo particolarmente efficace attraverso cui conoscere gli altri.

Dopo le superiori ho fatto un percorso di studi che mi ha portato ad avvicinarmi al mondo delle migrazioni. Ho scoperto ASCS durante una fase di passaggio in cui non avevo ancora ben capito cosa volessi fare della mia vita. L’incontro è avvenuto per caso: ASCS mi era stata assegnata come associazione in cui fare tirocinio per un master sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione. È stata la mia prima vera esperienza di lavoro in questo campo e mi ha aperto un mondo. Dopo i tre mesi di tirocinio sono diventata volontaria partecipando ai campi Attraverso Trieste e Attraverso Ventimiglia. Dopodiché, ho deciso di partecipare al corso di formazione per volontari, anche se non sono ancora ufficialmente partita per nessuna missione.

Tutte queste esperienze mi hanno marcata, su piani diversi. Il tirocinio, per esempio, mi ha fatto comprendere quale tipo di lavoro potessi fare nella vita, aiutandomi a dare un’immagine a ciò che prima era solo un’idea sfumata del ‘voglio lavorare nel sociale’. Il corso di formazione, poi, è stato un bel momento di riflessione su me stessa e sul mio legame col mondo delle migrazioni.

Ma sono state le esperienze dei campi quelle che mi sono rimaste di più, come forse è normale che sia: vivere le cose in prima persona lascia sempre il segno.

Vorrei condividere in particolare un ricordo del campo Attraverso Trieste del 2021. In quei giorni siamo andati sul confine per ripulire i sentieri attraversati dai migranti durante l’ultima tappa della Rotta Balcanica. Mentre salivamo la montagna abbiamo incrociato tre ragazzi che scendevano, visibilmente stanchi e con abiti non adatti ad un’allegra escursione tra amici. Ci hanno superato timorosi e si sono fatti ancora più schivi dopo che qualcuno di noi li ha salutati. Erano spaventati da noi, cittadini europei, potenziali testimoni della loro presenza illegale sul nostro territorio. Il fatto che qualcuno potesse vedermi come minaccia, quando eravamo lì proprio per aiutare, mi ha tristemente colpita.

Il pomeriggio dello stesso giorno, mentre eravamo in piazza a Trieste a distribuire zaini e scarpe, li abbiamo visti arrivare (noi, in macchina, ci avevamo messo mezz’ora a tornare in città, loro ci avevano messo tutta la giornata). Ho provato un profondo sollievo nel vedere che ce l’avevano fatta, che non erano stati fermati dalla polizia. Nell’aria si respirava uno strano miscuglio di felicità ed entusiasmo per coloro che erano arrivati a destinazione, ma anche una sensazione di tristezza per tutti coloro che, lo sapevamo, non ci erano riusciti. E di impotenza di fronte alle inutili difficoltà che il nostro paese continuava (e continua) a imporre a chi si mette in viaggio.

Mentre tornavamo nel centro in cui dormivamo una di noi si è messa a piangere di rabbia. La volontaria con cui stava parlando le ha detto: “È giusto provare rabbia, ma non serve lasciarla a ribollire. Devi cominciare a chiederti come trasformare la tua rabbia in qualcosa di utile”. Non erano parole rivolte a me, ma mi hanno fatto un gran bene in quel momento. Continuo a ricordarmene ed è quello che continuo a ripetermi, mentre cerco pezzetto dopo pezzetto di fare la mia parte.

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