Tutti al mare!
“Questa sera i ragazzi andranno al mare”: una frase che evoca vacanza, divertimento, musica, ballo e poi via in spiaggia, magari intorno ad un falò a tirar mattino con lo sciabordio della risacca a fare da sottofondo. Ma qui a Calais, quella frase, assume un significato differente. Qui a Maison Effata, quando i ragazzi decidono di andare al mare, la sera, lo fanno alla ricerca di un modo per attraversare quel dannato braccio di mare che li separa dalla sospirata Inghilterra.
È un mare scuro, freddo e capriccioso. Di giorno, quando il cielo è terso, all’orizzonte si vede il profilo delle proverbiali bianche scogliere di Dover. Quando il sole volge al tramonto il mare si ritira, lento e inesorabile e la bellissima spiaggia di sabbia fine, già di per sé molto ampia, si espande ancora di più scoprendo altri uno, dieci, centro metri di spiaggia e allora ti trovi a sperare che quella volta la bassa marea non si fermi e che l’intero braccio di mare si vada a prosciugare, lasciandolo passare tutto, il popolo delle jungle, ovvero delle terribili baraccopoli dove vivono ammassati i migranti che vogliono tentare la traversata, a volte infilandosi di nascosto nel rimorchio di qualche autotrasportatore che va ad imbarcare il mezzo o affidandosi a qualche scafista.
Ma la Manica non è il Mar Rosso e io decisamente non ho, lassù, le entrature di un Mosè. La barba bianca, ormai, quella ce l’ho ma temo che non basti.
Quando la sera i ragazzi decidono che andranno al mare, tutto segue una sorta di rituale, a Maison Effata. La cena, tutti insieme, come sempre è spensierata e forse anche più chiassosa del solito. Dopo, finito di rassettare, tutti si ritirano prima del solito in stanza: vanno a prepararsi. Poi, alla spicciolata, tornano in soggiorno e c’è chi improvvisa una partita a carte, chi a Domino, chi ascolta la musica diffusa dalla cassa bluetooth dove si alternano i più celebrati successi della scena musicale sudanese alle migliori pop star di Siria. Sono meglio queste o quegli altri? Si apre il dibattito e vengo eletto a giudice imparziale di un X Factor intercontinentale. Io abbozzo: ma come si fa, dico io, a dire se è meglio la mamma o il papà? Sono molesti entrambi, allo stesso modo, ovviamente…
Ad una certa ora io e Camilla che è qui in servizio da ben più tempo di me, ci ritiriamo nelle nostre stanze, i ragazzi restano ad attendere che sia l’ora per andare. Ci si congeda, quasi goffamente, con una sorta di imbarazzo per quello che probabilmente è un arrivederci al giorno dopo, ma potrebbe essere anche un addio. E allora ci si limita ad un cenno o poco più, si mormora a mezza voce: “Abbiate cura di voi! Se non rientrate fate avere notizie, se potete…”. E si va a dormire sospirando e maledicendo tutta questa assurda, dannata situazione e la sua apparente ineluttabilità.
Al risveglio, per prima cosa, si va all’ingresso dove c’è la scarpiera, per la conta delle scarpe: ci sono tutte? Ogni tanto ne manca qualche paio all’appello e allora il fiato resta come sospeso: cosa vorrà dire? Forse solo cose belle e quelle scarpe, ora, stanno calpestando il suolo inglese. O forse nulla di bello e quelle scarpe, ora, stanno sotto il letto di qualche ospedale o, peggio, trascinate infondo al mare scuro e capriccioso. Perché anche questo può succedere. Stamane, le scarpe, sono tutte al loro posto e sono ancora umide e piene di sabbia o di pietrisco, chi le aveva ai piedi è rincasato da poco, ancora una volta con un nulla di fatto e si è trascinato a letto, a sognare l’Inghilterra.
È un mare scuro, freddo e capriccioso. Di giorno, quando il cielo è terso, all’orizzonte si vede il profilo delle proverbiali bianche scogliere di Dover. Quando il sole volge al tramonto il mare si ritira, lento e inesorabile e la bellissima spiaggia di sabbia fine, già di per sé molto ampia, si espande ancora di più scoprendo altri uno, dieci, centro metri di spiaggia e allora ti trovi a sperare che quella volta la bassa marea non si fermi e che l’intero braccio di mare si vada a prosciugare, lasciandolo passare tutto, il popolo delle jungle, ovvero delle terribili baraccopoli dove vivono ammassati i migranti che vogliono tentare la traversata, a volte infilandosi di nascosto nel rimorchio di qualche autotrasportatore che va ad imbarcare il mezzo o affidandosi a qualche scafista.
Ma la Manica non è il Mar Rosso e io decisamente non ho, lassù, le entrature di un Mosè. La barba bianca, ormai, quella ce l’ho ma temo che non basti.
Quando la sera i ragazzi decidono che andranno al mare, tutto segue una sorta di rituale, a Maison Effata. La cena, tutti insieme, come sempre è spensierata e forse anche più chiassosa del solito. Dopo, finito di rassettare, tutti si ritirano prima del solito in stanza: vanno a prepararsi. Poi, alla spicciolata, tornano in soggiorno e c’è chi improvvisa una partita a carte, chi a Domino, chi ascolta la musica diffusa dalla cassa bluetooth dove si alternano i più celebrati successi della scena musicale sudanese alle migliori pop star di Siria. Sono meglio queste o quegli altri? Si apre il dibattito e vengo eletto a giudice imparziale di un X Factor intercontinentale. Io abbozzo: ma come si fa, dico io, a dire se è meglio la mamma o il papà? Sono molesti entrambi, allo stesso modo, ovviamente…
Ad una certa ora io e Camilla che è qui in servizio da ben più tempo di me, ci ritiriamo nelle nostre stanze, i ragazzi restano ad attendere che sia l’ora per andare. Ci si congeda, quasi goffamente, con una sorta di imbarazzo per quello che probabilmente è un arrivederci al giorno dopo, ma potrebbe essere anche un addio. E allora ci si limita ad un cenno o poco più, si mormora a mezza voce: “Abbiate cura di voi! Se non rientrate fate avere notizie, se potete…”. E si va a dormire sospirando e maledicendo tutta questa assurda, dannata situazione e la sua apparente ineluttabilità.
Al risveglio, per prima cosa, si va all’ingresso dove c’è la scarpiera, per la conta delle scarpe: ci sono tutte? Ogni tanto ne manca qualche paio all’appello e allora il fiato resta come sospeso: cosa vorrà dire? Forse solo cose belle e quelle scarpe, ora, stanno calpestando il suolo inglese. O forse nulla di bello e quelle scarpe, ora, stanno sotto il letto di qualche ospedale o, peggio, trascinate infondo al mare scuro e capriccioso. Perché anche questo può succedere. Stamane, le scarpe, sono tutte al loro posto e sono ancora umide e piene di sabbia o di pietrisco, chi le aveva ai piedi è rincasato da poco, ancora una volta con un nulla di fatto e si è trascinato a letto, a sognare l’Inghilterra.