Haiti di ieri, Italia di oggi
È passato un anno dalla mia esperienza ad Haiti. E durante quest’anno ho tentato varie volte di scrivere qualcosa, ma dopo poche frasi mi capitava sempre che la penna si bloccasse e non volesse più ripartire.
Quello che stiamo vivendo ora in Italia però mi dà l’occasione per riflettere anche su ciò che ho vissuto ad Haiti.
Mentre ero a Port-au-Prince, nel febbraio 2019, ci sono state delle manifestazioni politiche, durante ben tre settimane. Nel corso di queste settimane si sono presentate situazioni che mi hanno sconvolta a causa della loro assurdità.
Il divieto era quello di uscire di casa; le strade erano bloccate da gente armata e rivoltosa, pronta ad aggredire o a chiedere denaro ai passanti. Era dunque molto pericoloso lasciare la propria abitazione e lo si faceva solo in caso di stretta necessità. Le scuole sono state chiuse per tutta la durata delle manifestazioni. Ciò, più di tutto, mi sembrava irrazionale e assurdo: come si può interrompere l’istruzione e privare i bambini della propria crescita? Persino fare la spesa era diventato difficile; nei supermercati era rischioso recarsi a causa della distanza che bisognava percorrere e alla “finestrella” (piccola bottega con un’apertura sul muro), vicino a casa, iniziavano a scarseggiare anche i beni di prima necessità.
Era diventato difficile anche fare benzina, si percorrevano chilometri per raggiungere un distributore funzionante, che veniva preso d’assalto dagli automobilisti.
Col trascorrere delle giornate mi sembrava sempre più assurdo che un paese potesse essere fermato così, all’improvviso. Tutto ciò allora mi aveva sconvolta, ma oggi lo trovo riflesso in quello che stiamo vivendo nel nostro territorio: divieto di uscire di casa, scuole chiuse, supermercati presi d’assalto. Come un anno fa, oggi mi chiedo quale sia la soluzione per porre fine a questa situazione e come allora le uniche parole che mi vengono in mente sono: buon senso e umanità.
Haiti per me però è stato molto di più, Haiti va oltre le manifestazioni politiche. Certo, è difficile nascondere la presenza della violenza in questo paese, perché la violenza si insinua dappertutto: in famiglia, a scuola, per le strade… Però Haiti non è solo questo. È un paese in cui esiste ancora il vivere semplice, da cui in un momento come questo per l’Italia, dovremmo imparare molto. Ad Haiti i bambini a casa da scuola non si annoiano, perché da un paio di rami secchi e da un sacchetto di plastica sono in grado di costruire un aquilone.
Quando mi chiedo se quest’esperienza mi ha cambiata, la risposta non può essere che sì. Questa esperienza mi ha aperto gli occhi su una realtà che prima mi era sconosciuta, mi ha arricchita. Mi ha fatto fare tanta strada, sia in senso metaforico che in senso letterale; talmente tanta che alla fine ho buttato via le scarpe, da quanto erano consumate.
Mi ha insegnato che la felicità vera sta nell’essere al servizio dell’altro. Mi ha insegnato che non sempre si vince, non sempre si viene compresi, ma non per questo ci si deve arrendere. Mi ha insegnato che una piccola fetta di panettone mangiata in compagnia è molto più gustosa di un panettone intero mangiato da soli.
Haiti mi ha insegnato a non aver paura di sporcarmi: a non ritrarmi dall’abbraccio di un bambino sudato per paura di sporcarmi la maglia, a non rinunciare a una gita sul retro di un pick-up per paura di impolverarmi il viso, a non evitare di giocare coi bambini per paura di sporcarmi le mani o i piedi. In fondo, se ci facciamo caso, tutto sporca, tutto su di noi lascia un segno e sta a noi scegliere se lavarlo via oppure tenerlo lì, come il segno di ciò che abbiamo vissuto, quello che poi chiamiamo ricordo.
Ma soprattutto Haiti mi ha fatto capire che prima di essere italiani, haitiani o francesi, siamo esseri umani.
Lisa Riavis – volontaria ASCS