Un’estate attraversando
“Sogna, ragazzo, sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania; manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu…” così ci siamo salutati alla fine di ogni esperienza estiva: da luglio a settembre si sono susseguite otto settimane di campi estivi “Attraverso”, edizione 2024 al suo terzo anno consecutivo, in otto luoghi caldi per la migrazione. La proposta promossa dall’ASCS in rete con altre realtà locali ha coinvolto circa 150 giovani provenienti da tutta Italia in settimane di servizio, formazione, condivisione nei territori di Trieste, Ventimiglia, Oulx, Cuneese, Foggiano, Cosenza. A questi si aggiungono il campo a Lampedusa e Agrigento proposto dalle Missionarie Secolari Scalabriniane e quello ad Amora, in Portogallo promosso dalla pastorale giovanile della Regione scalabriniana Europa Africa.
Che cos’è un confine? Quanta vita scorre su quella linea fisica o immaginaria? Perché alcuni lo possono attraversare con facilità e altri no? Cosa ne sai del fenomeno del caporalato, che connessione c’è con la società, la legalità, con il cibo che mangiamo? E che cosa si prova ad essere giovani cittadini con radici ibride nel mondo, ma nati o cresciuti in Italia, in una società sempre più multiculturale? Queste solo alcune delle tematiche che sono state affrontate nelle varie settimane; innumerevoli i relatori che si sono prestati per essere ascoltati da occhi desiderosi di assorbire vita.
“Una missione: ascoltare, imparare e testimoniare realtà che non possono essere ignorate. Dal fenomeno migratorio al caporalato, dalla tratta di persone alla situazione dei minori stranieri non accompagnati – ci siamo immersi in storie che fanno riflettere e che devono essere raccontate” racconta Carlos, partecipante al campo Attraverso nel foggiano.
Non sono mancati i momenti di incontro e di servizio, più spesso nello stile dello stare che del fare pratico: ciò ha permesso di entrare in connessione profonda e vedere i luoghi da punti di vista molto differenti, mettendosi nei panni delle persone in movimento e di quelle che vorrebbero trovare pace nella quiete dell’essersi fermati: “per tutti Trieste è una terra di confine. Per molti è la porta d’Italia dopo la rotta balcanica. Lì ho conosciuto una casa senza muri, dove si dorme per terra, chi ha fortuna, in un sacco a pelo. Dove si gioca a Bazar e s’impara la lingua dell’altro, seduti su un suolo che non contiene le proprie radici. Dove si cerca un quadrifoglio su un prato, perché in ogni viaggio serve tanta fortuna. Soprattutto se si parte con poco, cercando un letto, una famiglia, un lavoro. È un viaggio in cui si arriva col volto invecchiato e gli occhi stanchi, conservando tra le dita desideri sciupati, coperti di polvere e terra”, testimonia Veronica, partecipante al campo Attraverso Trieste.
Ed è sul concetto di casa, invece, che abbiamo snodato quel filo rosso che ci ha condotti, giorno dopo giorno, a snocciolare l’esperienza e a farla risuonare dentro di noi: se chiudo gli occhi e penso alla Casa, com’è fatta? Dove si trova? Chi c’è con me? Sicuramente tutti pensiamo a un qualcosa di diverso. Magari la mia casa ha i balconi con i gerani nei vasi e una grande cucina per mangiare in compagnia; magari la sua casa, invece, è una città, una persona, un sentimento o, perché no, il mondo intero. Le case sono tante perché tanti siamo noi e non esiste una casa più giusta o più degna di altre… ma quale casa comune vogliamo per questo mondo? Dopo aver visto, esserci immersi, aver assaporato i territori con le loro bellezze e contraddizioni, la ricchezza che sta nelle diversità, che cosa ci aspetta dopo?
“Bisogna ripartire da qui: dall’opposto di muri e confini. Dobbiamo ripartire dall’inclusione degli altri, degli esclusi. Non per buonismo sentimentale ma perché la relazione è l’essenza della vita, è la forma del suo evolversi, del suo rinnovarsi e rinascere. Dobbiamo fare quelli che restano, accettando la frustrazione che a volte non è possibile guarire, ma solamente curare. E allora prendiamoci cura gli uni degli altri perché, alla fine, è tutto ciò che abbiamo”, scrive Sofia, partecipante del campo nel cuneese.
E da qui ripartiamo, dall’opposto di muri e confini, per essere ponti nella società che abitiamo e sempre di più cittadini attivi. Perché l’esperienza dei campi Attraverso possa essere uno slancio verso un futuro più attento, inclusivo, fatto di reti di persone che si uniscono a favore del bene comune: perché quella poesia, come dice Vecchioni, possiamo continuare a scriverla noi.