Una comunità che accoglie, in una città che respinge

Mi chiamo Letizia, ho 27 anni e sono di Torino.

Durante il mio percorso universitario, tra lingue e scienze politiche internazionali, le migrazioni sono tornate più volte come materia di studio e di approfondimento. Eppure, più leggevo, studiavo e analizzavo, più sentivo che la mia preparazione era incompleta: ho appreso molto su questo fenomeno, ma è cresciuta sempre più forte in me la necessità di andare oltre la conoscenza accademica della mobilità umana e sperimentare anche l’aspetto, appunto, più umano.

Grazie alle attività con Più Ponti Meno Muri – come partecipante del campo Attraverso Trieste 23 prima, e come volontaria nei laboratori di animazione giovanile poi – ho fatto le mie prime esperienze di incontro con le persone in movimento, che attraversano il nostro territorio ogni giorno, percorrendo rotte più lunghe nel loro viaggio verso altri paesi europei.

E poi ecco che si è presentata l’occasione inaspettata: per la prima volta, ASCS ha organizzato il corso per il volontariato internazionale a Torino, e parallelamente mi è stato proposto di andare qualche settimana a Calais, nel nord della Francia. Così ho partecipato il corso, durante il quale ho avuto modo di conoscere giovani con grandi motivazione ed entusiasmo: è anche grazie al confronto e alla condivisione con loro se sono partita per la mia prima missione internazionale con tanta consapevolezza e curiosità. Concluso il percorso di formazione guidato da Lucia e Orietta, ho raggiunto Davide (responsabile del progetto Borders) a Calais, con l’obiettivo di conoscere meglio il territorio e le associazioni che vi operano, e comprendere la situazione attuale di una frontiera.

Pas de Calais è il punto più stretto del Canale della Manica e nelle rare giornate più limpide, si possono vedere all’orizzonte le bianche scogliere di Dover, nel Regno Unito, che distano solo poche decine di chilometri: è questa la destinazione ambita dai molti migranti che giungono dal Sudan, dall’Eritrea, dall’Iran o dall’Afghanistan e da molti altri stati dell’Africa e del Medio Oriente. Nonostante il clima ostile della città, una luce di speranza è data dalle varie alcune associazioni di volontari che hanno creato una solida e fruttuosa rete di solidarietà e cooperazione per supportare le persone in transito presenti sul territorio. Durante il nostro primo soggiorno a Calais, abbiamo avuto modo di collaborare con alcune di queste realtà: abbiamo passato del tempo nel centro diurno del Secour Catholique dal quale ogni pomeriggio passando più di settecento persone per condividere un tè caldo e chiacchierare, fare due tiri a pallone o semplicemente passare del tempo in compagnia. Abbiamo conosciuto i gruppi che gestiscono altre case di accoglienza e passato del tempo in compagnia delle persone ospitate, in particolare a La Margelle, una casa per uomini che si stanno prendendo del tempo per pensare e pianificare il proprio futuro, in Francia o altrove, oppure attendono altre procedure senza che lo stato li supporti in alcun modo. Ed è proprio nella condivisione della quotidianità che si riesce ad entrare maggiormente in contatto con le persone:

il compito dei volontari e delle volontarie è quello di ricreare un’atmosfera familiare e strutturare abitudini condivise, affinché le persone possano ritrovare un po’ di ordinarietà e riposo.

Consumando i pasti insieme o facendo una partita a carte alla sera, ho potuto conoscere le persone, scherzare con loro, scoprire i loro gusti e le loro preferenze, scoprire le culture e le loro storie. Facendo volontariato, facilmente si parte con l’idea di voler scoprire molte storie e ascoltare racconti di viaggi lunghi e dolorosi, ma il più delle volte la cosa più importante è semplicemente “stare”: non sempre i migranti non si sentono di condividere le proprie esperienze passate o raccontarsi ripercorrendo anche memorie dolorose. Come volontaria, ho imparato a non fare tante domande e non voler solo soddisfare il mio desiderio di sapere e la mia curiosità; ho imparato piuttosto a pormi delle domande, riflettendo sui miei privilegi e sulle mie opportunità. Ho capito come mettere davanti innanzitutto le esigenze delle persone che incontro, che trovano nella casa di accoglienza un luogo sicuro e protetto, in cui riacquistare la propria dignità e indipendenza in un clima sereno. Ho (faticosamente, visto il mio carattere poco accondiscendente) imparato a non essere guida o protagonista delle varie attività, dalla cucina ai giochi, ma a coinvolgere in prima persona gli ospiti della casa, per creare il più possibile una comunità in cui volontari e ospiti partecipano attivamente.

Dopo il primo breve soggiorno a Calais, vi faccio ritorno insieme a Camilla per rimanere alcuni mesi con un nuovo grande obiettivo: avviare il progetto di una casa di accoglienza per uomini in transito insieme agli Scalabriniani. È una sfida che a tratti mi sembra più grande di noi, ma riparto forte delle conoscenze ottenute durante il primo periodo in Francia, e consapevole di poter contare sul supporto di molte organizzazioni della rete di solidarietà, in cui la comunicazione e cooperazione per un obiettivo comune sono alla base di tutto. Ritorno a Calais portandomi dentro i valori che ASCS mi ha insegnato dal primo giorno, per avvicinarsi un passo alla volta alla realizzazione del sogno di un mondo con “più ponti e meno muri”.

Per restare sempre aggiornato, iscriviti alla Newsletter.

    Ho preso visione della Privacy Policy di ASCS Privacy Policy