Tra solidarietà e Frontiere: un percorso di Accoglienza e di Sostegno Umano
Mi chiamo Alice, ho 24 anni e vengo da Marostica, una piccola cittadina nella provincia di Vicenza. Attualmente sto conseguendo una laurea magistrale in Relazioni Internazionali a Ginevra, in Svizzera.
Subito dopo la laurea triennale in Diritti Umani presso l’Università di Padova, ho deciso di mettere in pratica ciò per cui avevo studiato, lavorando in due realtà di accoglienza per migranti molto diverse: la prima a San Paolo, in Brasile affianco degli Scalabriniani, la seconda ad Atene, in Grecia per una ONG italiana. Queste esperienze hanno segnato profondamente il mio percorso personale e professionale, aiutandomi a capire che il mio obiettivo di vita è quello di offrire un supporto alle persone in difficoltà, soprattutto a quelle più vulnerabili ed oppresse. Impegnarmi per e con loro mi riempie il cuore e mi dà una spinta costante ad agire ed a migliorarmi, regalandomi una gratificazione che va oltre a qualsiasi cosa.
Quest’estate ho trascorso un mese e mezzo a Calais in Francia, dove ho svolto un’attività di volontariato presso Maison Effatà, una struttura di accoglienza per persone in transito con l’organizzazione ASCS. È stata un’esperienza estremamente intensa ed impegnativa, che mi ha insegnato molto e mi ha dato grandi soddisfazioni.
Il giorno prima di partire per tornare in Italia, ho sentito la necessità di mettere nero su bianco i pensieri e le emozioni che ancora si confondevano dentro di me, cercando di fare un po’ d’ordine rispetto a ciò che avevo vissuto. Mi piacerebbe condividere con voi il testo:
“Ci sono luoghi che appartengono a chiunque e dove lo spazio si riempie facilmente, in maniera così naturale che inevitabilmente prevale la legge del più forte. In un contesto in cui le risorse sono poche ed i bisogni molti, ciò che è mio non può essere tuo, ed il confine diviene un luogo di estrema violenza e sofferenza. A Calais in Francia, vi sono tende e coperte posate sul ciglio delle strade, tra la polvere sollevata dalle auto in corsa; oppure interi accampamenti informali all’interno di capannoni abbandonati o in mezzo a radure selvagge. Quando si lavora in questi luoghi si cerca di comprendere il più possibile la sofferenza di giovani viaggiatori con la speranza di trovare qualcosa. Ci si siede lì, gli uni accanto agli altri, ed anche dei semplici abbracci o degli sguardi, diventano intraducibili. Alcune strette di mano raggiungono i punti più profondi del cuore, sorvolando l’incomunicabilità di lingue sconosciute ed il peso diverso che hanno tra loro i passaporti.
Essere una tirocinante nella casa di accoglienza “Maison Effatà” a Calais, vuol dire proprio creare spazi sacri di condivisione con chi ha vissuto per molto tempo nelle soprascritte ‘jungles’. Dove non esiste il cittadino europeo o il rifugiato, ma solo persone che incrociano il cammino dell’altro per un po’ di tempo, e percorrono un pezzo di strada insieme, che sia per un accompagnamento in ospedale, per una cena, una gita al mare o una lezione di inglese. I giorni diventano sempre più pesanti da camminare per chi ha visto e continua a vedersi rinchiusa la propria vita all’interno di un container o in delle tende, ed ha visto silenziarsi i propri diritti. È dunque fondamentale essere presenti, offrire uno spazio di parola e di accoglienza proprio a queste persone. Ci sono così tante storie da ascoltare, risate che seppelliscono l’orrore passato e presente, così tante tradizioni da imparare, ed occhi da incrociare, che è impossibile non chiedersi perché si vuole rendere invisibile questa parte di umanità in movimento”.











